Public Law in Action – DM Fer 2, DM rifiuti inerti, DDL Aree Idonee Sardegna
I professionisti della service line di Public Law di Andersen, coordinata dall’avv. Carlo Gioffré, con la newsletter Public Law in Action analizzano le novità dal mondo del diritto amministrativo, con focus sull’energia e sugli appalti pubblici.
Energia
Decreto FER 2: incentivi per tecnologie non mature
Lo scorso 12 agosto è stato pubblicato sul sito web del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica il Decreto 19 giugno 2024, noto con il nome di Decreto FER 2, che reca “Incentivazione degli impianti a fonte rinnovabile innovativi o con costi di generazione elevati che presentino caratteristiche di innovazione e ridotto impatto sull’ambiente e sul territorio”. Il Decreto è stato adottato di concerto con il Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste.
Lo scopo del Decreto è quello di supportare la produzione di energia da impianti alimentati da fonti rinnovabili che si caratterizzano per la presenza di tecnologie ancora non mature e che necessitano di un sistema incentivante per potersi affermare sul mercato.
Possono accedere agli incentivi le seguenti tipologie di impianti alimentati da fonti rinnovabili:
- impianti alimentati da biogas e biomasse
- impianti solari termodinamici
- impianti geotermoelettrici
- impianti eolici off-shore
- impianti fotovoltaici floating sia off-shore sia su acque interne
- impianti alimentati da energia mareomotrice, del moto ondoso e altre forme di energia marina.
Il Decreto fissa, inoltre, le regole per l’accesso agli incentivi, individuate nel possesso del titolo abilitativo alla costruzione e all’esercizio dell’impianto, nel disporre del preventivo di connessione alla rete elettrica accettato in definitiva, nel rispetto di requisiti minimi ambientali e prestazionali, identificati all’Allegato 2 del Decreto e differenziati per ciascuna delle tipologia d’impianto, nonché nel rispetto di requisiti di dimensione e costruzione, anche questi individuati specificamente per ogni tipologia di impianto incentivabile.
L’accesso agli incentivi avverrà mediante procedure pubbliche competitive bandite dal GSE nel quinquennio 2024-2028, in cui, mediante forme telematiche, saranno messi a disposizione periodicamente dei contingenti di potenza differenziati per tipologia di impianto.
Inoltre, il Decreto prevede una procedura accelerata di valutazione per i progetti di grandi dimensioni, cioè impianti di potenza superiore a 10MW e per gli impianti, di qualsiasi potenza, nella titolarità di amministrazioni locali, previsti e finanziati nell’ambito di misure sperimentali e innovative del PNRR. Il proponente presenta richiesta di attivazione di tale procedura accelerata congiuntamente alla domanda di autorizzazione unica; dopodiché, parallelamente all’iter autorizzatorio, il GSE esamina telematicamente il progetto entro 30 giorni dal rilascio dell’autorizzazione, rilascia al proponente una qualifica di idoneità alla richiesta di incentivi.
Per ulteriori dettagli, si veda il Decreto al seguente link e l’approfondimento Andersen Andersen_approfondimento_FER2.pdf.
Sardegna: disegno di legge regionale per le aree idonee
Con deliberazione n. 36/1 dello scorso 19 settembre 2024, la Presidente della Regione Sardegna ha proposto l’adozione del disegno di legge concernente “Misure urgenti per l’individuazione di aree e superfici idonee e non idonee all’installazione e promozione di impianti a fonti di energia rinnovabile, e per la semplificazione dei procedimenti autorizzativi”. L’articolo 20, comma 4, del D. Lgs. 199/2021, infatti, richiede che entro 180 giorni dall’entrata in vigore del Decreto Aree Idonee (per saperne di più, si veda Decreto Aree Idonee – Andersen Italia), le Regioni individuino con legge le aree idonee.
Con il presente disegno di legge, la Regione Sardegna intende fornire una pianificazione territoriale conforme agli obiettivi di transizione energetica, ma, al tempo stesso, garantire la tutela del patrimonio culturale e del paesaggio, privilegiando l’utilizzo di strutture edificate, nonché di aree a destinazione industriale, artigianale, di servizi o logistica. Il testo del disegno di legge definisce le aree non idonee, le aree idonee e i requisiti urbanistici e edilizi, differenziati per tipologia di impianto.
L’elemento maggiormente rilevante è la previsione contenuta all’articolo 1, comma 4, laddove si dispone che il divieto di realizzazione degli impianti nelle aree non idonee si applica anche agli impianti la cui procedura autorizzativa è in corso al momento dell’entrata in vigore della presente legge. Non potrà essere dato corso alle istanze di autorizzazione che, pur presentate prima dell’entrata in vigore della legge, risultino in contrasto con essa. Anche i provvedimenti autorizzatori già emanati, aventi ad oggetto impianti ricadenti in aree non idonee, sono privi di efficacia, salvo che gli impianti abbiano già comportato una modificazione irreversibile dello stato dei luoghi.
Inoltre, la Regione istituisce un fondo, a decorrere dall’anno 2025, alimentato con risorse regionali, nazionali ed europee, per la concessione di misure di incentivo, sia mediante l’erogazione di sovvenzioni a fondo perduto, sia mediante il ricorso a strumenti finanziari, per sostenere interventi di installazione di impianti fotovoltaici e di accumulo di energia elettrica destinati all’autoconsumo e realizzati da persone fisiche residenti in Sardegna presso le proprie abitazioni, da imprese e professionisti con sede operativa in Sardegna, da comunità energetiche e altre forme di autoconsumo, da enti pubblici territoriali e regionali per impianti da collocare presso i propri manufatti edili.
Il testo del disegno di legge proseguirà ora l’iter legislativo regionale, nel quale potrà subire anche significative variazioni.
Per maggiori dettagli, al seguente link è possibile consultare il testo della deliberazione.
Decreto MASE sui rifiuti inerti
In data 11 settembre 2024 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto 28 giugno 2024, n. 127, del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, che contiene il “Regolamento recante disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto dei rifiuti inerti da costruzione e demolizione, alti rifiuti inerti di origine minerale, ai sensi dell’articolo 184-ter, comma 2 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152”.
Il Decreto stabilisce i criteri specifici nel rispetto dei quali i rifiuti inerti derivanti dalle attività di costruzione e di demolizione e gli altri rifiuti inerti di origine minerale cessano di essere qualificati come rifiuti a seguito di operazioni di recupero. Con la cessazione della qualifica di rifiuto, essi sono qualificati come aggregato recuperato. Quest’ultimo è poi utilizzabile esclusivamente per quegli specifici scopi indicati nell’Allegato 2 del Decreto.
Inoltre, il Decreto, in conformità a quanto previsto dagli articoli 184, comma 5, 188, comma 4 e 193, del D. Lgs. 152/2006, dispone che il produttore del rifiuto destinato alla produzione di aggregato recuperato sia responsabile della corretta attribuzione dei codici di rifiuti e delle caratteristiche di pericolo dei rifiuti, nonché della compilazione del formulario di identificazione del rifiuto. Il produttore di aggregato recuperato è tenuto a dotarsi di un sistema di gestione idoneo a dimostrare il rispetto dei criteri dettati con il decreto stesso.
Per maggiori informazioni, si consulti il testo del Decreto a questo link.
Disciplina delle aree non ricomprese nelle aree idonee
Tar Sicilia Palermo, sez. V, sentenza del 26 agosto 2024, n. 2475
La sentenza in oggetto ha affrontato il tema delle aree idonee di cui all’articolo 20 del D. Lgs. 199/2021, analizzando quali conseguenze, da un punto di vista dei procedimenti di autorizzazione per la realizzazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili, derivano dal fatto che un’area sia o meno qualificata ex lege come area idonea.
Nel caso di specie, la società ricorrente aveva presentato un progetto di impianto fotovoltaico, ricadente in parte in area idonea, in parte in un’area non classificata come area idonea, in quanto ricadente nella fascia di 500 m da un’area sottoposta a tutela. La società ha impugnato il parere, emesso nell’ambito del provvedimento autorizzatorio unico regionale (PAUR), con cui la Soprintendenza di Caltanisetta aveva espresso il proprio avviso favorevole limitatamente alla realizzazione dell’impianto posto fuori dalla fascia di rispetto, cioè dando il proprio assenso esclusivamente per la parte ricadente in area idonea. La motivazione dell’amministrazione si è fondata sul fatto che in virtù dell’articolo 20, comma 8, non potesse realizzarsi l’impianto entro i 500 metri dal bene tutelato.
Il TAR Palermo ha accolto il ricorso, chiarendo che i parametri contenuti all’art. 20, comma 8, del D.Lgs. 199/2021 sono funzionali all’individuazione delle aree idonee, ma ciò non implica che le aree ivi non ricomprese siano qualificate come aree non idonee. Infatti, il comma 7 del medesimo articolo ribadisce che “le aree non incluse nelle aree idonee non possono essere dichiarate non idonee all’installazione di impianti di produzione di energia rinnovabile, in sede di pianificazione territoriale ovvero nell’ambito di singoli procedimenti, in ragione della sola mancata inclusione nel novero delle aree idonee”. Diversamente, nel caso di specie, la Soprintendenza deduceva dal mancato inserimento dell’area di impianto nelle aree idonee, la non idoneità dell’area stessa.
Il Tribunale afferma che è il procedimento amministrativo la sede in cui deve essere operato il bilanciamento dei vari interessi in gioco, da un lato l’interesse alla massima diffusione della produzione elettrica da fonti rinnovabili e dall’altro la protezione degli interessi paesaggistici. Le aree non ricomprese nelle aree idonee, dunque, non sono aree non idonee, bensì aree nelle quali all’interno del procedimento devono essere svolte delle valutazioni, di cui dare conto nella motivazione, funzionali all’esame sincronico di tutti gli interessi pubblici coinvolti meritevoli di tutela.
Per maggiori dettagli, è possibile consultare il testo della sentenza a questo link.
Ritardi dell’amministrazione e danno da perdita di chance in ambito FER
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza del 13 settembre 2024, n. 7559
Con la presente sentenza, sono stati esaminati i profili di responsabilità relativi ai danni lamentati dalla società appellante, dovuti al ritardo delle amministrazioni nel rilascio dei titoli autorizzativi per la realizzazione e l’esercizio di due impianti fotovoltaici. A causa dei ritardi nell’espletamento dell’azione amministrativa da parte della Regione Molise e del Ministero della Cultura, la società asseriva di essere stata impossibilitata a completare la realizzazione degli impianti e di aver perduto la possibilità di accedere alle tariffe incentivanti bandite dal GSE. In primo grado, la domanda non è stata accolta.
Il Consiglio di Stato, invece, ha accolto parzialmente le domande. Infatti, se da un lato non è stata accolta la domanda risarcitoria riferita all’impossibilità di completare l’impianto in quanto non è stato provato il nesso causale fra il danno e la condotta delle amministrazioni coinvolte, dall’altro lato è stata accolta la domanda relativa al danno derivato dal mancato accesso agli incentivi. È stato ritenuto responsabile il solo Ministero della Cultura, atteso che, qualora la Soprintendenza non avesse adottato atti, la cui illegittimità è stata definitivamente accertata in sede giurisdizionale e che hanno di fatto ritardato l’avvio dell’attività imprenditoriale, la società avrebbe potuto avere accesso in tempo agli incentivi e, di conseguenza, avrebbe potuto partecipare al mercato della produzione di energia a condizioni economiche più vantaggiose. Questa tipologia di danno, denominato danno differenziale, deve essere liquidata secondo i criteri del danno da perdita di chance.
Per ulteriori informazioni, si veda la sentenza al seguente link.
Appalti pubblici
Il costo della manodopera in caso di personale coinvolto in più commesse
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza del 16 settembre 2024, n. 7582
Con la presente sentenza, i giudici di Palazzo Spada hanno affrontato il tema della quantificazione del costo della manodopera, nel caso in cui questa venga impiegata su più appalti, ulteriori rispetto alla procedura di gara cui ci si riferisce.
Nel caso di specie, la società appellante riteneva di poter considerare il costo di alcune professionalità come indeterminabile o pari a zero, per il solo fatto che esse fossero impiegate anche in altre commesse. L’argomentazione a fondamento di tale tesi risiedeva in un precedente arresto dello stesso Consiglio di Stato, con cui si affermava che l’indicazione dei costi della manodopera avesse carattere obbligatorio solamente per i dipendenti impiegati in maniera stabile nella commessa, ma non per quelle figure professionali che operassero in via indiretta o in maniera trasversale fra vari contratti, il cui costo non fosse rimodulato in relazione all’offerta da presentare in vari appalti.
Tuttavia, la presente sentenza ha evidenziato l’esigenza di analizzare la questione caso per caso, cosicché possa essere verificato e adeguatamente valutato l’effettivo impiego delle risorse nello specifico appalto. Lo scopo dell’analisi caso per caso deve essere quello di valutare se si tratta di figure manageriali apicali, che ricoprono un ruolo esterno alla realizzazione dell’appalto, le quali possono essere scomputate dal costo della manodopera e inserite nei costi generali, ovvero si tratta di figure direttamente operative, che stabilmente si occupano della commessa, sebbene coinvolte anche in altri appalti, le quali devono essere indicate fra i costi della manodopera.
Per maggiori dettagli, è possibile consultare la sentenza al seguente link.
Tutela dell’affidamento e responsabilità precontrattuale
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza del 13 settembre 2024, n. 7574
dell’affidamento sono stati analizzati nella sentenza del Consiglio di Stato in oggetto, la quale ha enucleato degli importanti principi interpretativi.
La sentenza, nell’enucleare la portata dell’articolo 5 del D.Lgs. 36/2023, cioè il nuovo Codice dei contratti pubblici, afferma che il principio di buona fede e di tutela dell’affidamento implica che l’amministrazione sia tenuta a rispettare non solo le norme di diritto pubblico, ma anche quelle generali dell’ordinamento. Da ciò, discende che la violazione delle norme di diritto civile può comportare una responsabilità da comportamento scorretto, che incide sul diritto soggettivo di autodeterminarsi nei rapporti negoziali. Lo scopo dell’articolo 5 è dunque quello di ribadire la libertà di compiere le proprie scelte negoziali, senza subire ingerenze che derivano dalla scorrettezza dell’amministrazione.
Sulla base di ciò, per potersi riconoscere la responsabilità precontrattuale, è necessario che sussista la buona fede del privato, che la condotta lesiva dell’affidamento appaia oggettivamente in contrasto con la correttezza e la buona fede, che la violazione di tali principi sia imputabile all’amministrazione per dolo o colpa, che, da ultimo, il privato sia in grado di fornire la prova del danno-evento, del danno-conseguenza, e del nesso causale fra il danno e il comportamento dell’amministrazione.
Per ulteriori informazioni, si consulti la sentenza al questo link.
La sopravvenuta mancanza di copertura finanziaria
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza del 13 settembre 2024, n. 7571
La sentenza in esame analizza il tema del rifiuto di stipulare un contratto dopo l’aggiudicazione, nel caso in cui la società si trovi nella posizione di non poterlo più stipulare a causa della mancanza sopravvenuta della copertura finanziaria necessaria.
Nel caso di specie, la società aggiudicataria, a seguito di ritardi intervenuti nella trasmissione di documentazione da parte della stazione appaltante, aveva lamentato dei pregiudizi tali per cui essa si è dichiarata impossibilitata alla stipulazione del contratto, essendo venute a mancare le condizioni di tipo contrattuale-finanziario e tecnico necessarie per poter procedere alla sottoscrizione e alla relativa esecuzione delle attività. Così, la stazione appaltante ha revocato l’aggiudicazione e disposto l’escussione della polizza fideiussoria presentata dalla società in sede di presentazione dell’offerta, ha chiesto il rimborso delle spese di pubblicità, nonché la segnalazione del provvedimento all’ANAC.
Considerato che nel caso di specie era stato un ritardo dell’amministrazione stessa a causare la perdita dell’interesse dell’aggiudicataria all’esecuzione del contratto, nell’avviso dei giudici di Palazzo Spada, la stazione appaltante ben avrebbe potuto consentire lo scioglimento del rapporto e procedere alla revoca dell’aggiudicazione non per responsabilità dell’aggiudicatario – come avvenuto – bensì per venir meno della copertura finanziaria. La carenza originaria o sopravvenuta della copertura finanziaria rappresenta una ragione legittima per disporre la revoca di un affidamento, quando il contratto non sia ancora stato concluso.
Per ulteriori dettagli, si consulti la sentenza.