Limiti e potenziale della revisione delle circoscrizioni giudiziarie
Italia Oggi dedica un approfondimento alla riforma della geografia giudiziaria, la cui prima proposta, risalente al decreto legislativo del 7 settembre 2012 (n. 155), rispondeva alle necessità imposte dalla grave crisi economica di quegli anni. Ad oggi, esponenti di tutte le coalizioni politiche stanno richiedendo una revisione del piano originario, che prevedeva la soppressione di 31 tribunali, 31 procure e 220 sezioni distaccate di tribunale, insieme alla soppressione di 667 uffici dei giudici di pace, con un risparmio di spesa previsto di circa 51 milioni di euro, ma che si è concretizzato in un calo dei costi prossimo allo zero.
Riorganizzazione degli uffici e diritto di accesso alla giustizia
A distanza di 10 anni, è ormai riconosciuto il mancato raggiungimento dell’obiettivo di facilitare l’accesso alla giustizia, dato che la riduzione delle sezioni distaccate non è stato seguito da un’adeguata riorganizzazione dei compiti, il che ha portato a un appesantimento del carico per i Tribunali “maggiori”, già eccessivamente impegnati. In questo contesto, è evidente la necessità di raggiungere un equilibrio tra la giustizia di prossimità e la riduzione della spesa pubblica per raggiungere l’efficienza del sistema giudiziario. Per farlo è importante ricordare come la digitalizzazione dei processi abbia il potere di compensare la distanza geografica fra gli uffici, che altrimenti compromettere l’egualitario accesso ai procedimenti da parte dei cittadini, imposto dalle norme costituzionali e da quelle europee, che incentivano una giustizia di prossimità.
Vanno inoltre considerati gli effetti positivi dell’accentramento degli uffici, fra i quali vi sono la riduzione dell’eventualità di rapporti di conoscenza fra le parti, la possibilità di costituire sezioni specializzate dei Tribunali, difficilmente compatibile con sedi di piccole dimensioni, e l’efficienza e la prevedibilità delle decisioni. Tuttavia, ciò non si traduce in una giustizia più rapida, spesso ostacolata dall’eccessiva burocratizzazione, dalla mancanza di uniformità delle prassi operative e degli orientamenti interpretativi e dai numerosi rinvii processuali non necessari. L’accentramento dei ruoli presso le sedi centrali è un passaggio importante, ma deve essere accompagnato dall’adozione di strumenti deflazionistici dei tempi procedimentali e dal rispetto dei termini per la calendarizzazione del procedimento e per l’emissione dei dati dei provvedimenti da parte del giudicante, la cui violazione non è attualmente sanzionata.
Il partner Andersen Andrea Frangipane, esperto in assistenza legale e giudiziaria relativa a procedimenti in materia civile, commenta l’importanza di un cambiamento culturale, che porti cittadini e professionisti a preferire ogni forma di risoluzione alternativa delle controversie, considerando il processo solamente come rimedio estremo. Ciò permetterebbe di risolvere le liti in modi più rapidi ed efficienti, essendo frutto di accurati approfondimenti dei magistrati. “Così, peraltro, si ridurrebbero pure i tempi del processo d’appello, che, in prospettiva, potrebbe essere abrogato (mantenendo naturalmente il solo giudizio di legittimità), con un eventuale ritorno alla collegialità e, dunque, un ulteriore miglioramento della qualità delle decisioni, nel processo di primo grado”, ha dichiarato l’avvocato. “Nessuna riforma potrà essere pienamente efficace se non ci faremo parte diligente nell’evitare processi spesso fondati su mere questione di principio. Un buon accordo transattivo non è una sconfitta ma un segno di grande civiltà.”
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