Manleva del nuovo socio dalle conseguenze negative del conferimento

Con la pronuncia del 4 luglio 2018 n. 17500 la Suprema Corte chiarisce le condizioni di validità di un patto parasociale che preveda un’opzione di vendita (“opzione put”) quale strumento di manleva volto ad ottenere il trasferimento su un altro socio del rischio inerente al conferimento.

Il ricorso per Cassazione veniva proposto avverso la decisione della Corte d’Appello di Firenze con la quale i soci di maggioranza di una società per azioni venivano condannati al pagamento di un considerevole importo a favore del socio di minoranza, avendo i giudici ritenuto valido l’accordo parasociale di investimento concluso tra il nuovo socio, che acquistava la partecipazione sociale rappresentativa del 40% del capitale sociale, e tre vecchi soci della società con il quale, al fine di garantire il nuovo socio dalle eventuali conseguenze negative dell’investimento azionario, allo stesso veniva attribuita un’opzione put a prezzo fisso, avente ad oggetto la partecipazione di esso nella sua titolarità entro un dato termine.

L’opzione put a prezzo fisso ha permesso al nuovo socio di cedere la propria partecipazione sociale al prezzo inizialmente pagato, oltre le spese per la capitalizzazione ed il finanziamento della società, con gli interessi, nonostante vi fosse stata una forte riduzione del valore delle azioni a seguito delle perdite che la società ha subito dopo l’ingresso del nuovo socio nella compagine sociale.

Veniva posta, dunque, davanti alla Suprema Corte la questione se sia valido ed efficace l’accordo interno tra i soci, alcuni dei quali si obbligavano a manlevarne altri dalle conseguenze negative verificatesi dopo il conferimento, mediante l’attribuzione del diritto di vendita entro un termine dato a prezzo predeterminato, anche comprensivo di somme nelle more versate alla società. Il predetto diritto di vendita però non rispecchiava il valore effettivo, soprattutto alla luce della presenza di interessi sull’importo dovuto, idonei a neutralizzare la perdita di valore del denaro medio tempore avvenuta od anche rappresentare un guadagno.

Con l’occasione la Cassazione ha ricordato che l’esclusione dalle perdite o dagli utili secondo la previsione dell’art. 2265 c.c., si integra quando il singolo socio venga escluso in maniera assoluta e costante dall’una o dall’altra situazione o da entrambe.

La ratio del divieto del patto leonino risiede nel preservare la purezza della causa societatis e va, pertanto, ricondotta ad una necessaria suddivisione dei risultati dell’impresa economica, tipicamente propria dell’intera compagine sociale e con rilievo reale verso l’ente collettivo; mentre nessun significato in tal senso, secondo la Suprema Corte, potrà assumere il trasferimento del rischio puramente interno fra un socio e un altro socio o un terzo, allorché non alteri la struttura e la funzione del contratto sociale, né modifichi la posizione del socio in società, e dunque non abbia nessun effetto verso la società stessa: la quale continuerà ad imputare perdite ed utili alle proprie partecipazioni sociali, nel rispetto del divieto ex art. 2265 c.c.

La Corte da importanza alla necessità di analizzare, ai fini dell’applicazione dell’art. 2265 c.c., la causa concreta del negozio, affermando che non è precluso alle parti di addivenire ad accordi in cui la causa concreta sia mista, in quanto associativa e di finanziamento, con la connessa funzione di garanzia assolta dalla titolarità azionaria e dalla facoltà di uscita del socio senza la necessità di pervenire, a tal fine, alla liquidazione dell’ente.